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All'inizio degli anni '70, in Italia, Sergio Marigo (La Spezia), Andrea d'Agostino (Napoli),
Aldo Maldonato (Roma), Paolo Fumelli (Ancona) e Quirico Carta con Elena Benaduce
(Torino) dettero largo spazio
all'educazione nella routine
diabetologica. A Vicenza, Herta
Corradin e Giuseppe Erle
introdussero la metodologia
dell'”educazione CON il
diabetico” e realizzarono il primo
campo-scuola per adulti.
Nel 1979, a Ginevra, Jean Philippe Assal propose il
concetto di approccio globale al diabetico, nella ricerca
dell'equilibrio tra le tre dimensioni del trattamento:
somatica (biomedica), psicologica (psicosociale) e
pedagogica (“l'insegnamento ha un'importanza
equivalente al trattamento propriamente detto”). In
questo modello il paziente ha nella cura della malattia
un ruolo pari a quello del medico.
Da ricordare infine la
“Group Care”, modello
sistemico di educazione
al self-management del
diabete che comporta
anche processi di
riorganizzazione della
pratica ambulatoriale, proposta fin dal 1996 dal gruppo di
Marina Trento ed applicata poi in molte realtà
diabetologiche. La Group Care ha dimostrato non solo di
ridurre l’emoglobina glicata e il colesterolo, ma soprattutto
di migliorare la qualità di vita e altri aspetti psicologici nelle
persone diabetiche.
I programmi formativi per i diabetici trovarono il loro banco di prova
comportamentale con la diffusione dell'autocontrollo domiciliare della glicemia negli
anni ’80-’90 e poi con la diffusione di metodi sempre più precisi per il calcolo dei
carboidrati e dei vari nutrienti che vengono ingeriti, fino agli odierni sistemi portatili
per il monitoraggio continuo della glicemia.
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