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L’ottocento: verso l’autogestione
Innumerevoli le teorie sull’origine del diabete all’inizio del secolo, che si
traducevano in svariate prescrizioni terapeutiche fra le quali
naturalmente primeggiavano le raccomandazioni sull’alimentazione
dalla quale, dopo la scoperta della glicosuria, erano banditi gli zuccheri,
sia semplici che complessi.
Apollinaire Bouchardat (1806-1886), professore di
igiene e farmacista capo all’Hotel-Dieu di Parigi,
compilatore del Formulaire ufficiale per il Ministero
della Sanità francese e primo vero diabetologo
pratico, suggeriva come primo provvedimento la
soppressione del pane e di quasi tutti
gli altri carboidrati. Salvo poi concederne la parziale
reintroduzione fino alla ricomparsa della glicosuria, che
il paziente stesso poteva rilevare con la degustazione
della propria urina. Nella dieta di Bouchardat entravano
quantità abbondanti di proteine e grassi, una buona
bottiglia di vino rosso al giorno, esercizio fisico regolare
e giornate di digiuno completo.
Arnaldo Cantani (1837-1893), clinico medico a Napoli e
primo diabetologo italiano, prescriveva vere diete da
fame, ancorché “grasse e ricche di carne”, e pare fosse
solito chiudere a chiave i poveri glicosurici, affinché non
trasgredissero. Uscivano anche i primi libri di cucina per
diabetici con varie raccomandazioni: le domeniche
metaboliche a base di fiocchi d’avena del tedesco Hanko Carl van
Noorden (1858-1944), il règime parmentière a base di 700-900 grammi
di patate al giorno (Alphonse Mossé – 1852-1936) e altre ancora.
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